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Corte d'Appello di Bologna > Infortunio
Data: 23/04/2004
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 274/04
Parti: Giuseppa C. / VILLA CRISTINA di JANUS s.r.l.
INFORTUNIO SUL LAVORO IN ITINERE – CONDIZIONI DI INDENNIZZABILITA’ – ESENZIONE DALLE SPESE DEL GIUDIZIO.


Una lavoratrice che aveva scelto di compiere il tragitto casa-lavoro (pacificamente pari a 647 metri lineari) utilizzando la bicicletta, da questa era caduta a causa di un gatto che aveva attraversato la strada. L’INAIL non aveva contestato la sussistenza di una causa violenta né la veridicità dei fatti, ma solamente che l’uso della bicicletta potesse dirsi, in relazione alla lunghezza del tragitto, “necessitato”. Il Giudice di primo grado aveva ritenuto che l’uso del mezzo di trasporto potesse ritenersi necessario alla luce di un criterio di “normalità”, o di “razionalità”, dal momento che, nelle zone di pianura, la bicicletta costituisce abituale strumento di spostamento, anche per coprire brevi distanze, che peraltro nel caso concreto tanto brevi non potevano ritenersi, in ragione del fatto che la lunghezza, pari a circa 1.400 metri per il tragitto casa – lavoro – casa, costituiva pur sempre un ostacolo di un certo impegno per una donna, quale la ricorrente, di cinquant’anni. La Corte d’Appello invece ha ritenuto che il riferimento a “standards” comportamentali in uso nella società civile non è fungibile rispetto al criterio di necessità, che risponde ad altre esigenze, diverse da quelle che regolano la vita degli uomini nella famiglia e nella comunità, e precisamente a quelle determinate dal rapporto strettamente previdenziale tra premi assicurativi e prestazioni erogabili. Non tutto ciò che è normale, pertanto, secondo la Corte d’Appello è anche necessario, nel più limitato significato che tale parola assume, di utile a far escludere l’esistenza di un rischio elettivo. E’ noto che solo con il decreto legislativo numero 38\2000 il legislatore ha ritenuto di dover dare una definizione del concetto di infortunio in itinere con la modifica dell’articolo 2, terzo comma DPR 1124\1965, recependo, in sostanza, l’orientamento della giurisprudenza che numerose sentenze della Corte di legittimità hanno nel passato contribuito a determinare. In concreto, pertanto, alle fattispecie precedenti e successive al febbraio del 2000 si applicano gli stessi principi, alternativamente in virtù di attività interpretativa ovvero di una semplice lettura della norma. Tali principi sono astrattamente sintetizzabili nell’affermazione secondo la quale l’infortunio occorso durante il tragitto casa-lavoro è indennizzabile nei seguenti limiti: a) che il tragitto seguito sia quello “normale”, e che b) l’uso del mezzo privato sia “necessitato”. Ciò che occorre precisare – e che ha visto sul punto diverse e anzi opposte interpretazioni del Giudice di primo grado e dei Giudici d’appello - è cosa debba intendersi per uso “necessitato”: a tale scopo risulta utile l’elaborazione giurisprudenziale che ha affrontato casi regolati dalle norme (anzi dall’assenza di norme) precedenti alla riforma del 2000, laddove ha avuto modo di affermare che – in applicazione del criterio del “rischio elettivo” come “scelta arbitraria del lavoratore” (Cass. 17 maggio 2002, numero 7222) – sussiste una situazione di necessità dell’uso del mezzo proprio “non solo allorché siano assenti collegamenti pubblici di linea tra il luogo di lavoro e l’abitazione del lavoratore, ma anche quando pur esistendo tali collegamenti, il loro utilizzo sottopone il lavoratore stesso ad un eccessivo disagio” (Consiglio Stato, sez VI, 2 marzo 2000, 1099) ovvero tale utilizzo non è compatibile in ragione dei tempi del mezzo pubblico (ad esempio nel caso di ritorno a casa durante l’ora del pranzo ove non sia presente una mensa all’interno dello stabilimento - Cassazione, 26 maggio 2001, numero 7209, e Cassazione 5 giugno 2001, numero 7612). Ciò che viene richiesto, dunque, è che la scelta del lavoratore di utilizzare il mezzo proprio sia “ragionevole” (Cassazione, 28 novembre 2001, numero 15068, Cassazione, 11 dicembre 2001, numero 15617), e il metro di valutazione di tale ragionevolezza va considerato “in relazione alle circostanza di tempo e di luogo in cui avviene” (Cassazione 25 luglio 2001, numero 10162). La tendenza della giurisprudenza, anche in questa materia, è sempre dunque stata quella di dare applicazione al criterio che esclude l’indennizzabilità dell’evento solo in quanto conseguenza di un c.d. “rischio elettivo”, come tale dipendente da una libera scelta del lavoratore: per comprendere in cosa consista si ricorda che - a mero titolo di esempio – a determinarne l’esistenza è la scelta di un percorso o di un mezzo piuttosto che un altro per raggiungere il posto di lavoro (cfr. Cass., n. 8269 del 1.9.1997, in DPL 1997, 72) ovvero la decisione di chiedere e ottenere un permesso per poter usufruire di una pausa esterna alla fabbrica per godere di un caffè (ma ad esempio il Tribunale di Milano in fattispecie identica a quella ultima citata ha invece ritenuto esistente l’ “occasione di lavoro”: T. Milano 26.2.1994, ivi, 1994, 951). In generale, “il requisito dell’<> implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio ricollegabile allo svolgimento dell’attività lavorativa in modo diretto o indiretto, assumendo così il ruolo di <> del rischio tutelato e il <> quello di limite della copertura assicurativa, esclusa, invece, ogni rilevanza autonoma del grado maggiore o minore del rischio.” (). Ii rischio deve ritenersi “elettivo” laddove la scelta è stata motivata da “impulsi personali” e quando il lavoratore “abbia creato e affrontato volutamente una situazione diversa da quella inerente all’attività lavorativa” (Cass. 8.3.2001, n. 3363; cfr. anche Cass. 19.4.1999, n. 3885). Il che rileva anche nelle ipotesi in cui l’eventuale infortunio occorso al lavoratore durante il tragitto casa-lavoro sia addebitabile a sua colpa esclusiva. In un caso in cui lo stesso aveva subito un incidente in quanto non si era fermato a un segnale di stop, la Cassazione (numero 15312 del 4 dicembre 2001) ha affermato che, come sempre, unicamente rilevante è “il limite del rischio elettivo, inteso quale scelta di un comportamento abnorme, volontario e arbitrario, tale da condurre ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività, secondo l’apprezzamento del fatto al riguardo compiuto dal Giudice di merito”. La Corte da ultimo risolve in modo negativo per INAIL, parte appellante, la questione relativa all’applicabilità retroattiva dell’articolo 42, comma 11, del d.l. 30 settembre 2003, numero 269, che esclude l’automatica esenzione dall’onere delle spese in favore degli Istituti previdenziali e di assistenza. La Corte osserva infatti che per quei ricorsi depositati prima del 2 ottobre 2003, data di efficacia delle disposizioni contenute nel decreto legge citato, non è prevista alcuna regolamentazione speciale, specificamente dettata ai processi in corso. Il che esclude la possibilità di applicazione retroattiva delle norme “a regime”, sia in quanto le nuove disposizioni pongono a carico della parte che ricorre obblighi specifici di allegazione e produzione di per sé incompatibili con le situazioni processuali in corso, sia in quanto “non è possibile individuare alcuna norma, tra quelle contenute negli undici commi dei quali si compone l’articolo 42, dalla quale poter desumere con un margine di apprezzabile certezza la volontà del legislatore di attribuire efficacia retroattiva alle disposizioni contenute nell’articolo 42 citato”

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  • Corte d'Appello di Bologna > Infortunio
    Data: 13/12/2007
    Giudice: Varriale
    Tipo Provvedimento: Sentenza
    Numero Provvedimento: 781/06
    Parti: INPS / Marilena A.
    RISARCIMENTO DANNI DA INFORTUNIO SUL LAVORO – ONERE DELLA PROVA – AVVENUTO ADEMPIMENTO DELL’OBBLIGO EX ART. 2087 C.C. - GRAVA SUL DATORE – SUA RESPONSABILITA’ ANCHE PER INCIDENTI ASCRIVIBILI A COLPA DEL LAVORATORE


    Art. 2087 c.c.

    Art. 2697 c.c.

    Art. 437 c.c.

    La Corte d’Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Parma n. 186 del 3.10.2003 che aveva condannato la società datrice di lavoro a risarcire i danni alla propria dipendente - che in orario di lavoro, mentre stava pulendo i vetri di una finestra, era caduta dalla scala che stava utilizzando - rigettando altresì la domanda di garanzia proposta da detta società nei confronti della propria compagnia assicuratrice. In particolare la società appellante con il primo motivo ha dedotto che erroneamente il Tribunale ha imputato alla stessa la responsabilità dell’evento lesivo subito dalla lavoratrice, senza alcuna prova specifica, ma sulla scorta di mere presunzioni, nonché ritenendo la scala insidiosa e non a norma, senza però precisare quali fossero le caratteristiche che avrebbe dovuto avere e trascurando che la stessa lavoratrice, nel ricorso introduttivo del giudizio, aveva precisato che la scala presentava tutti i requisiti di sicurezza stabiliti dalle norme antinfortunistiche e che quindi l’infortunio si era verificato per un’imprudenza della lavoratrice, ovvero per negligenza di quest’ultima che non aveva indossato le scarpe antiscivolo. La Corte – dopo avere richiamato la giurisprudenza secondo cui “l’art. 2087 c.c. impone all’imprenditore l’obbligo fondamentale (sussidiario rispetto alle prescrizioni di specifiche norme antinfortunistiche) di adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, sicché qualora si verifichi l’infortunio sul lavoro incombe al datore l’onere di provare l’avvenuto adempimento di tale obbligo(Cass. 6.9.,1995 n. 9401; Cass. 4.7.2000 n. 8944) – ritiene il motivo infondato, non avendo la società provato di aver fornito le scarpe antiscivolo alla lavoratrice, né di aver vigilato sulla relativa utilizzazione: al riguardo, infatti, la Suprema Corte ritiene che “il datore di lavoro è responsabile dei danni subiti dal proprio dipendente non solo quando ometta di adottare idonee misure protettive, ma anche quando ometta di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso anche da parte dello stesso dipendente” (Cass. 25.5.2006 n. 12445; Cass. 13.10.2000 n. 13690; Cass. 21.5.2002 n. 7454) ed ha più volte ribadito che “le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni del lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivati dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivili a imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso” (Cass. 6.8.2003 n. 11895; Cass. 24.3.2004 n. 5920; Cass. 8.3.2006 n. 4980). Il principio è stato ribadito anche da Cass. 4.12.2007 n. 25260.

    La Corte respinge altresì anche il secondo motivo di gravame - con cui la società aveva censurato l’impugnata sentenza nella parte in cui aveva rigettato la sua domanda di manleva, contestando che le condizioni generali della polizza prevedevano la copertura del danno biologico senza alcuna franchigia ed allegando all’appello copia delle suddette condizioni– rilevando che tale eccezione era nuova, perché non sollevata nel primo grado del giudizio, e quindi vietata ai sensi dell’art. 437 c.p.c. (Cass. 7.10.1999 n. 11252; Cass. 8.1.2002 n. 126; Cass. 6.7.2002 n. 9855) e che in ogni caso all’appellante era comunque preclusa la prova di tale fatto, essendo inammissibile la produzione di nuovi documenti (Cass. SS.UU 20.4.2005 n. 8203).




    Corte d'Appello di Bologna > Infortunio
    Data: 13/12/2007
    Giudice: Varriale
    Tipo Provvedimento: Sentenza
    Numero Provvedimento: 781/06
    Parti: My Ghef srl / Daniela B + 1
    RISARCIMENTO DANNI DA INFORTUNIO SUL LAVORO – ONERE DELLA PROVA – AVVENUTO ADEMPIMENTO DELL’OBBLIGO EX ART. 2087 C.C. - GRAVA SUL DATORE – SUA RESPONSABILITA’ ANCHE PER INCIDENTI ASCRIVIBILI A COLPA DEL LAVORATORE


    Art. 2087 c.c.

    Art. 2697 c.c.

    Art. 437 c.c.

    La Corte d’Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Parma n. 186 del 3.10.2003 che aveva condannato la società datrice di lavoro a risarcire i danni alla propria dipendente - che in orario di lavoro, mentre stava pulendo i vetri di una finestra, era caduta dalla scala che stava utilizzando - rigettando altresì la domanda di garanzia proposta da detta società nei confronti della propria compagnia assicuratrice. In particolare la società appellante con il primo motivo ha dedotto che erroneamente il Tribunale ha imputato alla stessa la responsabilità dell’evento lesivo subito dalla lavoratrice, senza alcuna prova specifica, ma sulla scorta di mere presunzioni, nonché ritenendo la scala insidiosa e non a norma, senza però precisare quali fossero le caratteristiche che avrebbe dovuto avere e trascurando che la stessa lavoratrice, nel ricorso introduttivo del giudizio, aveva precisato che la scala presentava tutti i requisiti di sicurezza stabiliti dalle norme antinfortunistiche e che quindi l’infortunio si era verificato per un’imprudenza della lavoratrice, ovvero per negligenza di quest’ultima che non aveva indossato le scarpe antiscivolo. La Corte – dopo avere richiamato la giurisprudenza secondo cui “l’art. 2087 c.c. impone all’imprenditore l’obbligo fondamentale (sussidiario rispetto alle prescrizioni di specifiche norme antinfortunistiche) di adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, sicché qualora si verifichi l’infortunio sul lavoro incombe al datore l’onere di provare l’avvenuto adempimento di tale obbligo(Cass. 6.9.,1995 n. 9401; Cass. 4.7.2000 n. 8944) – ritiene il motivo infondato, non avendo la società provato di aver fornito le scarpe antiscivolo alla lavoratrice, né di aver vigilato sulla relativa utilizzazione: al riguardo, infatti, la Suprema Corte ritiene che “il datore di lavoro è responsabile dei danni subiti dal proprio dipendente non solo quando ometta di adottare idonee misure protettive, ma anche quando ometta di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso anche da parte dello stesso dipendente” (Cass. 25.5.2006 n. 12445; Cass. 13.10.2000 n. 13690; Cass. 21.5.2002 n. 7454) ed ha più volte ribadito che “le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni del lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivati dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivili a imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso” (Cass. 6.8.2003 n. 11895; Cass. 24.3.2004 n. 5920; Cass. 8.3.2006 n. 4980). Il principio è stato ribadito anche da Cass. 4.12.2007 n. 25260.

    La Corte respinge altresì anche il secondo motivo di gravame - con cui la società aveva censurato l’impugnata sentenza nella parte in cui aveva rigettato la sua domanda di manleva, contestando che le condizioni generali della polizza prevedevano la copertura del danno biologico senza alcuna franchigia ed allegando all’appello copia delle suddette condizioni– rilevando che tale eccezione era nuova, perché non sollevata nel primo grado del giudizio, e quindi vietata ai sensi dell’art. 437 c.p.c. (Cass. 7.10.1999 n. 11252; Cass. 8.1.2002 n. 126; Cass. 6.7.2002 n. 9855) e che in ogni caso all’appellante era comunque preclusa la prova di tale fatto, essendo inammissibile la produzione di nuovi documenti (Cass. SS.UU 20.4.2005 n. 8203).




    Corte d'Appello di Bologna > Infortunio
    Data:
    Giudice: Benassi
    Tipo Provvedimento: Sentenza
    Numero Provvedimento: 198/08
    Parti: Francesco C. / MARR S.p.A
    RISARCIMENTO DANNO DA INFORTUNIO SUL LAVORO – APPALTO ILLECITO DI MANODOPERA - RESPONSABILITA’ DELL’IMPRENDITORE APPALTANTE PER VIOLAZIONE OBBLIGHI DI PREVENZIONE ANTINFORTUNISTICA – RESPONSABILITA’ SOCIETA’ PRODUTTRICE DEL MACCHINARIO